NICOLA MORANDINI – CORTI_CIRCUITI
L’approfondimento artistico che quest’anno lo Studio DODiCI propone all’interno dei propri spazi riguarda il paesaggio, materia con la quale il mestiere dell’architettura si cimenta ogni qual volta il progetto richieda una relazione con l’intorno. Lavorare sul paesaggio significa rapportarsi con diverse scale, esercitando quello che Simmel definiva il “sentimento della distanza” e con una materia che è viva, mutevole e connotata da una forte carica identitaria e culturale. Per illustrare questo percorso, abbiamo pensato con Nicola Morandini di proporre una selezione di tre suoi progetti fotografici: Soltanto un chilometro – 2012, Guardrail – 2012, Sudtirolo Amore Mio – 2015, accomunati dalla dimensione quotidiana del paesaggio, scevra di caratteri di eccezionalità.
Corti circuiti, luoghi a portata di mano, terreno di progetto e di riflessione estetica.
Nicola Morandini, il cartografo dell'ordinaria straordinarietà
Nicola Morandini, attraverso uno sguardo straniante da cartografo-fotografo, cattura paesaggi e territori sconosciuti, nel tentativo di comprendere l’autenticità identitaria di questi paesaggi: Morandini ricorre ad un esercizio di osservazione e immedesimazione attraverso il quale l’uomo diviene il luogo, mentre la mente si connette alla sua lente.
Chi sei e quali sono i tuoi interessi fotografici?
Sono nato a Brescia nel 1970, da madre sarda e padre bresciano, e vivo a Merano da circa vent’anni. Dopo gli studi in scienze forestali, ho lavorato come progettista, consulente, educatore, insegnante e agronomo. Sin da piccolo ho avuto la passione per la fotografia. Il mio lavoro ha prediletto in prima battuta il reportage sociale, mentre da qualche anno rivolgo la mia attenzione soprattutto al territorio, impiegando la fotografia medio formato analogica. I miei fotografi di riferimento sono senza dubbio Luigi Ghirri e Guido Guidi, tra gli italiani, e molti autori statunitensi come Walker Evans, Stephen Shore, William Eggleston e Todd Hido.
I tuoi progetti riguardano lo studio delle trasformazioni del territorio attraverso la fotografia. In che modo questa tecnica si mostra straniante nei confronti della realtà?
«Straniante» vuol dire porsi di fronte ad un determinato paesaggio-ambiente dimenticandosi un po’ di noi stessi, ovvero, come dice Luigi Ghirri, “relazionarsi col territorio in una maniera più elastica, non schematica”, partendo senza regole fisse, preconcetti, o pregiudizi. Inoltre, a mio avviso, significa fotografare attivando un nuovo processo mentale che porti a scoprire nella realtà cose che prima non si vedevano. Con un campo di attenzione differente si ha la possibilità di attribuire agli elementi della realtà un significato diverso e insolito. Una definizione di Paul Eluard, un poeta francese tra i maggiori esponenti del movimento surrealista, riassume perfettamente questi concetti: “vedere è comprendere, giudicare, trasformare, immaginare, dimenticare e dimenticarsi, essere e sparire”.
Le tue sono indagini fotografiche a sfondo sociale o un puro esercizio di osservazione dei luoghi?
Entrambe le cose. Osservare un luogo non significa limitarsi a guardarlo, vuol dire esaminarlo con attenzione, quindi indagarlo. Il mio approccio (scegliere paesaggi anonimi, lontani dalle mete canoniche del turismo, in modo del tutto casuale) si avvicina al metodo di indagine del transetto. Questo è un metodo di campionamento che consiste semplicemente nel tracciare un segmento lineare in un bosco, e nel registrare dove questo interseca gli oggetti del nostro interesse, che vengono quindi campionati.
Cosa significa oggi fotografare in un luogo? Come riesce il fotografo ad entrare nel paesaggio fisicamente, per poi uscirne fotograficamente tramite ciò che ha ritenuto di quel paesaggio grazie all’osservazione prolungata?
Per me vuol dire lavorare come un cartografo, un esploratore. Significa immergersi in un luogo senza un progetto ben definito, lasciandosi catturare da ciò che si incontra. Esiste solamente un percorso tracciato e abbozzato. Si tratta però di un itinerario in continuo movimento perché è il lavoro stesso, con le fotografie, a poter suggerire intuizioni diverse e provocare nuovi stimoli.
Questo vuol dire attivare una grande curiosità, non scartare nulla a priori, lasciarsi stupire dalla casualità, trovare anche nelle cose ordinarie uno spunto di analisi e di osservazione.
Come definiresti il tuo ruolo di fotografo?
Per me fotografare vuol dire provare a ricercare la straordinarietà dell’ordinario, ovvero vedere un paesaggio, anche il meno spettacolare, come se fosse la prima ed ultima volta. Il mio modo di fotografare è legato in modo inscindibile al viaggio vissuto come momento di esplorazione solitaria. Viaggiare da soli consente di sperimentare il mondo in modo più profondo, permette al fotografo di sparire e di lasciarsi andare al territorio che si attraversa. E poi, come dice Wim Wenders, “i fotografi, basta osservarli, non sono mai infelici quando sono soli con i loro apparecchi”.
Da un’intervista a cura di Allegra Baggio Corradi, apparsa su Franzmagazine, giugno 2016
Studio DODiCI
Via Quarto dei Mille, 7 – Brescia
Inaugurazione 15 dicembre 2017 alle 18.30
dal 15 dicembre 2017 al 26 gennaio 2018 visita su appuntamento
telefonare al numero + 39 030 8373702
Nicola Morandini
www.nicolamorandini.it
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